il mito

la ninfa felice

olio 100x120

Ulisse a Ogigia

pastello 50x70

la cometa portafortuna

olio 150x120

Venere nera

olio 100x120

La mela di Paride

olio 120x100

TETI E ACHILLE

pastello 50x70

LA VESTALE INQUIETA

pastello 50x70

Per secoli la mitologia classica ha reso alla pittura servigi tutt'altro che trascurabili. Essa, infatti, non si  limitata semplicemente a rifornire intere generazioni artistiche più o meno legate alla tradizione accademica, di materiale narrativo, per cos' dire, "precostituito", ma ha messo loro a disposizione un vero e proprio sistema di significanti capace di esprimere , ove opportunamente manipolato, un'articolatissima gamma di contenuti, tutti , in linea di principio, nobilitati dal contesto steso entro cui venivano ad apparire. Avventure, imprese e passioni dei più accreditati membri del Pantheon greco-romano ( e di un gran numero di personaggi minori) sono valse insomma per un lungo periodo di tempo, a definire una sorta di zona franca all'interno della quale era possibile, pur riferendosi ad individui ed eventi a loro modo concreti, parlare dell'umanità in generale, se non addirittura del filosofico 'uomo in quanto uomo'. In altri termini, a parte allegorie e metafore del presente, comunque praticabili su richiesta, il dipinto a soggetto mitologico aveva, di norma, come protagonista "tra le righe" non questa o quella divinità, ma il puro e semplice essere umano riguardato come portatore di determinate qualità e caratteristiche "di fondo" atte a confermarlo quale entità pensante e senziente eternamente uguale a sé stessa. Questo sistema, questo sofisticato linguaggio il cui segreto consisteva nell'avvalersi di una manifesta forma di atemporalità (bene o male accessibile a tutti attraverso chiavi di lettura fornite dalla cultura dominante) cominciò ad entrare in crisi, a perdere la sua ragion d'essere e dunque anche ogni funzionalità, allorché la pittura ormai decisa a costituirsi come rappresentazione della "vita moderna" si orientò decisamente verso la dimensione della sincronia, ovvero verso un ideale fatto di stretta correlazione tra invenzione linguistica e mutamenti progressivi della sensibilità generale. Oggi, a più di un secolo di distanza, l'ideale cui ci riferiamo, e che si palesò per la prima volta nella pienezza con l'affermarsi  dell'Impressionismo, sembra essere entrato a sua volta in crisi. Il grande fiume della storia, a detta di molti, non mostra più alcuna seria intenzione di continuare a scorrere in avanti e appare piuttosto intento a riversarsi in una sorta di macroscopico pantano sulla cui superficie, bene o male stagnante, emergono, rimescolandosi senza posa ( e senza gerarchie) forme espressive nate in contesti e periodi diversissimi tra loro. Mario Agugiaro, ben convinto di non avere a che fare con una palude formatasi per naturale necessità, ma piuttosto con una specie di 'lago artificiale', ha sentito il bisogno di andare più a fondo, di sondare in qualche modo gli argini ideologici della questione. Per verificare le sue intenzioni relative alla struttura interna dell'attuale Kunstwollen Agugiaro ha pensato di istituire un paradossale confronto tra la collaudata in temporalità della narrazione mitologica e quel rifiuto di ogni vettorialità che sembra essere assurto ad emblema della pittura di oggi. Armato della più assoluta disinvoltura linguistica e di uno spregiudicato gusto per la contaminazione e gli effetti speciali, egli si è dato dunque ad evocare episodi fatali come il giudizio di Paride e il ratto di Proserpina, storie famose come quella di Odisseo a Ogigia e di Ifigenia in Aulide, momenti della vita di ogni giorno di figure mitiche legate al territorio e al culto ( il dio Pan, le Nereidi, satiri e ninfe e via dicendo). Ne è uscito fuori un universo davvero singolare fatto di immagini ad un tempo violente e dolciastre, allarmate e patetiche, tormentate e ridicole. Cosa è accaduto? Perché Minerva Venere e Giunone assomigliano alle sorelle Bandiera mentre il volto di Paride fa pensare a Totò? Perché il pomo della discordia sembra prelevato da un'affiche pubblicitaria della Sammarzano e depositato su un guantone da baseball? Per quale ragione un uso sapiente e fortemente espressivo del colore non riesce ad avere la meglio sulla nostra sensazione di trovarci di fronte ad una grottesca e asfissiante messa in scena che stravolge i sentimenti e deforma le anatomie? Che rimescola fumetto, Pop art e Surrealismo senza nulla concedere alla consapevolezza dei suoi protagonisti? Di questi languidi e ottusi pupazzi di plastilina spiaccicati sulla superficie del proprio apparire? La risposta va cercata ancora una volta nel  mito, ma non certo nel mito classico, che funziona ormai qui solo come una cartina tornasole, bensì nei miti della cultura estetica moderna ivi compresa la propaggine postmoderna. Miti che agiscono decisamente - e nel rimarcare questo Agugiaro è addirittura impietoso - quali filtri atmosferici o specchi deformanti capaci di restituirci in negativo il senso di un percorso storico cui è vano opporre, se non come una sua ulteriore metamorfosi, qualsiasi sforzo di presentificazione. Dovendo indicare i nodi meglio evidenziati dall'originalissimo esperimento di Agugiaro comincerei dal mito romantico dell'arte come espressione immediata di ciò che resta nel cuore del poeta, per proseguire con quello della psicoanalisi, che ad esso si ricongiunge circoscrivendo l'idea di inconscio nei limiti del personale e del fisiologico, per finire con quello della comunicazione diffusa che nel proporsi quale modello capace di annullare differenze di stile, di linguaggio e di tradizione, piuttosto che eludere il rischio metafisico insito nella pratica dell'interpretazione, lo riproduce in termini più agguerriti e disarmanti. Sulla scorta della divertita ironia di Agugiaro diviene allora inevitabile chiedersi quale sia il tema di fondo che lega tra loro, facendone altrettanti momenti della storia della pittura, questi tre momenti della più generale storia del pensiero. Per rispondere credo che non si possa fare a meno di chiamare in causa una problematica antichissima, quella del rapporto uomo-natura riconducibile ( e ricondotta sin dagli albori della civiltà) ad un unico e inquietante quesito: è possibile immaginare qualche cosa come una natura dell'uomo? Ma 'immaginare' è appunto lo scopo e il compito dell'artista, di questo operatore privilegiato e un po' presuntuoso autoelettosi a rappresentante di un sentimento comune di cui è possibile stabilire i limiti e la definizione. Da sempre gli artisti hanno cercato di mettere in forma le loro intuizioni al riguardo e sempre si sono trovati a produrre non solo opere ma anche nuovi linguaggi. In pittura, se ci si accontenta di leggere per differenze l'infinita sequenza di immagini che potrebbero succedersi in un fantastico omnicomprensivo museo, questo accavallarsi di proposte ci appare esaltante quanto disperato, e tuttavia una  lettura per trasformazioni legate ai mutamenti del sociale sembra ogni volta reintrodurre una qualche speranza di venirne a capo. Ma come difendersi dalla tentazione ricorrente di sovrapporre ai fatti una troppo intellettualistica idea di svolgimento? Mario Agugiaro ci si è provato rimescolando le sue carte senza mai uscire dall'ambito di ciò che la pittura ha effettivamente prodotto. ovvero provocando un inatteso, improbabile eppure realissimo cortocircuito tra istanze che le estetiche di una volta avrebbero definito 'del contenuto' e ' della forma'. I risultati sono sotto i nostri occhi e, pur non contraddicendo in nulla quella che potrebbe essere dichiarata, a tutti gli effetti, una sensibilità epocale, ci sembra dimostrino come egli sia uscito dall'impasse eclettica che sovrasta le attuali ricerche più avanzate, per una strada che non sarebbe lecito considerare secondaria. I suoi personaggi, in un certo senso, ci assomigliano, sono le nostre controfigure, le controfacce di un atteggiamento che ci appare rassicurante solo perché fondato senza riserve sul principio del relativismo e dell'incertezza. Un atteggiamento che, pago della seriosità nichilista, non percepisce più il ridicolo inevitabilmente conseguente ad una resa contrabbandata per vittoriosa soluzione finale.

Paolo Balmas (1985)

SATIRI E NINFE olio 200x170


ADAMO ED EVA olio 100x120

LA NINFA FELICE

Ulisse a Ogigia

la cometa portafortuna

la Venere nera

la mela di Paride

Teti e Achille

la vestale inquieta

REALISMO

BARCHE. olio su tavola 120x150.

NATURA MORTA. OLIO 50X70.(TRATTO DA DIPINTO DEL 600)

VENERE E SATIRO olio 120 x150. (tratto da dipinto del 500)

al lavoro


L'arte di Mario Alberto Agugiaro desidera farci entrare in ciò che più di autentico ci rappresenta attraverso le esperienze del nostro io più profondo: immagini oniriche sembrano confrontarsi per esprimere le creazioni dell'artista. Laureato in medicina e chirurgia, con precedenti studi in storia dell'arte, attraverso la sua cultura Agugiaro riesce a vagliare le figure umane andando al di là dello studio scientifico dell'anatomia. Con corpi variopinti geometrizzati riesce a generare composizioni del tutto personali. Esse sembrano travalicare la lezione cubista nei tanti dipinti sul tema dell'umanità come "La nuova sponda" e temi sociali sulla guerra. Ma la trasposizione poliedrica delle figure non sembra essere sufficiente ad Agugiaro per rappresentare la sua intimità: le forme più libere e più svariate, che esulano da ogni schema geometrico, attraverso l'accostamento dei colori più accesi, si confrontano in nuove figure umane. Esse riescono a trascendere la realtà per approdare alle immagini più ancestrali della nostra memoria, tramite l'inconscio dell'artista. Così Agugiaro stesso, infatti, si esprime: "L'istinto creativo si genera in noi stessi, vedendo qualcosa che nasce dentro e che vediamo materializzarsi in una armonia di linee e colori mentre attraverso la percezione visiva è capace di rendere quello che sentiamo all'interno di noi  e  disperatamente cerca di uscire per entrare in una dimensione nuova di comunicazione con chi ci circonda." Proprio nei dipinti intitolati "Visite archeologiche subaquee", la "Grumatica" e le "Astrazioni", l'artista affronta il mondo dell'interpretazione più alta dell'immagine reale, mediante la sua visione cromatica dalle infinite suggestioni personali. Ciò che più attrae sembra essere la capacità di mettere in scena, attraverso la pittura, le sue fantasmagoriche composizioni, per farci entrare nel suo mondo fantastico come nei quadri "Fuochi di Antartide" e nelle sue "Città asfittiche". Quest'ultime sembrano volte a sottolineare anche una visione politica dell'urbanistica nel gioco dei grattacieli, ritratti a volte simili a superfici aride, grigie e vuote (come in "La baia"), altre volte infuocate come oscure presenze di predoni che sembrano ghermire, come nel dipinto intitolato "Fronte del porto". Nel concatenarsi e susseguirsi di volumi geometrici, le figure umane di Agugiaro si confrontano per dar vita ad una infinita gamma di variazioni cromatiche. Sembra come se una cinepresa girasse intorno per scoprire il volume, come sculture a tutto tondo, sulle dimensioni della superficie piana. Sono i diversi aspetti tanto cari all'arte di Picasso, e a quella dei maestri del cubismo, dove vengono rappresentate le diverse immagini della figura - davanti e dietro, interno ed esterno - sulle due dimensioni della superficie del quadro. Nelle composizioni più astratte, come nel dipin- to intitolato "Fuochi di antartide", le figure in primo piano sembrano assumere l'aspetto dei fantasmi dell'inconscio al quale l'artista sembra proporre la propria identità fuori da ogni schema geometrico. I colori più accesi si mescolano fino a creare un groviglio di anime tormentate, che si stagliano sulle ombre chiare di improbabili edifici sul fondo scuro. È il tormento dell'anima, il male di vivere dal quale molti grandi artisti nella storia hanno saputo creare i loro più grandi capolavori.  GIANFRANCO MISSIAJA . Critico d'arte Pitturiamo . 2021
 

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